sabato 22 gennaio 2011

Una famiglia si racconta

Circa due mesi fa ho conosciuto Davide Castronovo, coordinatore del presidio sociale presso il campo sosta di via Chiesa Rossa. E' seguita il mese scorso una visita al campo, e l'ultimo fine settimana ci siamo ritrovati con la famiglia Frosh per una chiacchierata, a cui ha collaborato anche Davide.

Da subito si sono mostrati interessati a questo blog e alle notizie che pubblico. Mi fanno vedere un computer portatile. Si collegano a internet con la chiavetta.

Alex (30 anni): Perché la rete telefonica non funziona mai. Ci sono delle capocchie sigillate, come a Venezia, ma sono sempre allagate lo stesso.

Quando è nato il campo c'erano l'ing. Luigi Pagnoni, il dottor Prina e Carlo Cuomo, ma c'erano solo le piazzole, la strada era già asfaltata.

Abbiamo chiesto la linea telefonica e ci hanno risposto: "Ma volete anche il telefono??" (ride)

Giuliano (suo padre): La nostra lingua è romanés harvato, istriano, tutto misto.

Siamo arrivati a Milano nel 1968, eravamo in via Negrotto, che è stato il primo campo a Milano. Poi siamo andati, abusivamente, in via Castellamare, ed infine in via Giovanni Fattori dal 1978. Sempre nella stessa zona.

Alex: Fino al 20/2/2000, quello lo ricordo bene.

Giuliano: Quando siamo arrivati, lì c'era una discarica, abbiamo spianato, buttato la ghiaia, e poi andavamo in comune a chiedere di darci l'acqua e la luce. Aprivamo un tombino e si prendeva l'acqua, ho preso anche una denuncia per questo...

Dopo 20 anni ci hanno dato una fontana e un allaccio volante per tutti. L'acqua arrivava col contagocce.

Eravamo circa 160.

Nel 1968 il comune aveva aperto una specie di cantiere solo per i nomadi, all'epoca davano 500 lire al giorno. Abbiamo sistemato la Montagnetta, giardini, tagliato l'erba, e poi i marciapiedi in Bovisa, a Quarto Oggiaro e in via Console Marcello.

Lavoravamo un po' tutti, il problema è che tra noi si parlava nel nostro dialetto e la gente ci identificava come zingari, anche se non facevamo niente di male. Questo succede anche oggi.

E poi allora c'era una cooperativa, veniva al campo per l'ingaggio e ci davano dei soldi, in nero, naturalmente. Io ho lavorato con loro anche se ero minorenne. Era meglio di adesso, perché allora c'era lavoro per tutti.

Allora volevamo veramente integrarci, ma non ci siamo mai riusciti. Quando si scopriva che eravamo rom, le ditte ci mandavano via. Ho lavorato alla ESSO e col caposquadra non c'erano problemi, ma il direttore aveva un po' di pregiudizi quando ha scoperto dove abitavamo.

Insomma, si lavorava col comune ed in nero con qualche cooperativa.

Non vi sentite isolati a vivere qui lontano da tutti?

Alex: Integrazione: ormai siamo più che integrati.

Ti posso dire che è una scelta di vita. Mia sorella ha provato a vivere in appartamento assieme al suo ragazzo, ma c'erano tanti problemi con la madre di questo ragazzo. Allora sono tornati qua tutti e due. Quello che sei non lo puoi cambiare.

I vicini non ci accettano. Un'altra mia sorella ha preso un appartamento in affitto, lei a vederla non sembra rom; è andato tutto bene le prime due settimane. Ma i bambini giocavano sulle scale, e naturalmente facevano rumore e parlavano la nostra lingua. Ci sono stati reclami all'amministratore. La cosa è andata per quattro mesi. Poi sono andati via per evitare grane.

Giuliano: Noi non volevamo venir qui da Palizzi Fattori. Noi non volevamo e la gente qui attorno nemmeno.

Quindi giovani e anziani la pensano nella stessa maniera?

Giuliano: Quando siamo arrivati qua, volevano costruire una scuola dentro il campo, solo per Rom. Quella sarebbe stato un vero ghetto. Invece i bambini per fortuna vanno alla scuola normale, c'è uno di noi per classe.

Un giovane può sempre cambiare, io non ce la farei mai, chiuso in casa è come stare a san Vittore.

Ad esempio, siamo abituati a parlare a voce alta, e questo non lo sopportano.

Il campo ha sempre avuto casette simili?

Giuliano: Per le case il comune ha dato permesso di costruire senza fondamenta, sono le case che avevamo in Palizzi Fattori e il comune le ha portate di qua. La mia casa ad esempio è a moduli. Allora ci hanno dato 8 milioni per la buonuscita, e chi doveva trasportare la casa ha pagato di tasca sua.

Alex: I bagni invece li ha fatti il comune. Noi abbiamo fatto tutto il resto, ad esempio abbiamo piantato gli alberi. I bagni sono dei container e valgono niente.

Secondo voi, di che lavori avrebbe bisogno il campo?

Alex: Il lavoro più urgente sarebbe di rifare tutti i bagni. Dare un'occhiata alla fognatura, perché la manica del depuratore non funziona.

Davide: La vasca è troppo bassa e piccola.

Alex: La pavimentazione è tutta da rifare.

I contatori sono isolati in una colonna all'ingresso del campo: da un lato va bene perché non portano via spazio nella piazzola, ma dall'altro chiunque può staccarli o manometterli, e i pozzetti sono sempre sott'acqua.

E poi abbiamo il problema di una casa che il comune ha abbattuto ad agosto, e le macerie sono ancora lì.

Comunque, ho girato tanti campi a Milano e anche a Saronno e Varese, ma il migliore che ho visto è questo. E' stato qui anche un rom francese, e anche lui la pensa così.

Davide: I lavori di ristrutturazione dovrebbero riguardare le fognature e gli allacciamenti del gas.

Poi è previsto un rimpicciolimento del campo sulla base delle famiglie che sono state allontanate e di quelle che hanno deciso di uscire dal campo. Il comune ha messo a disposizione pochi strumenti, contraddittori tra loro..

Siete in 150/160 persone. Tra di voi ci sono problemi di convivenza?

Alex: Siamo divisi in famiglie, con qualcuna si può convivere, con altre è impossibile. E' una guerra continua, e poi naturalmente c'è omertà

Ti faccio un esempio: se io mi spostassi sulla piazzola sgomberata ad agosto dal comune, la famiglia che prima era lì lo considererebbe un affronto.

Davide: Questo dovrebbe diventare un campo di transito, dove rimanere al massimo 3 anni (dal 2008, quindi il termine scadrebbe adesso). Ma ci sono le elezioni, e non si sa come andrà a finire il tutto.

Il problema degli spazi vuoti può diventare esplosivo, ci vuole capacità di mediazione. Ad esempio, c'è una signora che è in mezzo alla strada con la sua roulotte, non vuole ritornare sulla sua piazzola perché lì è morto suo marito.

Alex: Ho paura che il comune ci dica: o vai su questa piazzola, o finisci in mezzo alla strada.

Ho sempre l'idea che il comune non prenda mai decisioni definitive. Ad esempio, qua ci sono le telecamere a circuito chiuso?

Giuliano: No. Abbiamo detto che è una questione di privacy (ride).

Davide: Metterle era nella intenzioni della prefettura e del ministero degli interni.

Abbiamo approfittato del momento particolare: la Moioli si scornava con De Corato; i vigili urbani litigavano con De Corato perché ogni giorno c'erano sgomberi... gli abitanti, anche grazie al confronto con la cooperativa, sono stati bravi a organizzarsi come interlocutori della forza pubblica.

Inoltre c'era stato da poco l'abbattimento della casa e probabilmente il comune voleva recuperare il rapporto col resto del campo.

Alex: Rimangono le telecamere sulla strada, ma quelle ci sono in tutta Milano.

Cosa vi aspettate dalle prossime elezioni?

Alex: Ho idea che chiunque ci sarà, per noi le cose non cambieranno.

Se qualcuno si mette a parlare bene dei campi e dei sinti, chi ti vota più?

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