sabato 28 dicembre 2013

Nomadi, una emergenza da centinaia d'anni: continuare a isolarli nei campi...

...o superare l'inconciliabilita' culturale?
di Rita Mazzeo, 22-12-2013 su Pontediferro.org
La parola "campo" ha assunto, già da alcune decine di anni, accezioni negative: campo di concentramento o di internamento, campo di lavoro forzato, campo rifugiati, campo profughi, sono alcuni tra gli esempi che si possono fare, insieme ai cosiddetti "campi nomadi". Tutte, in effetti, evocano il concetto di ghettizzazione e, del resto, il termine stesso "ghetto" ha un'origine semitica, risalente all'ebraico-caldeo (linguaggio utilizzato da rabbini ed ebrei dopo la dispersione) e indica "separazione" o "siepe chiusa".

I campi nomadi, negli ultimi anni, sono stati denominati in vario modo (campi autorizzati, campi sosta, villaggi attrezzati, campi tollerati, villaggi della solidarietà, e così via), tuttavia i diversi modelli utilizzati dalle istituzioni per accogliere e ospitare camminanti nelle nostre città, hanno prodotto, in differente misura, segregazione spaziale e socio-culturale, di quelle comunità.
Anche i campi autorizzati o attrezzati, infatti, sono collocati in genere nelle periferie, spesso non collegati dal trasporto pubblico ai centri urbani, vicini a discariche o a grandi assi viarie, per cui le persone che vi abitano sono emarginate e rimangono del tutto estranee alla realtà della società cittadina.
Molte organizzazioni internazionali e della società civile hanno presentato rapporti di denuncia nei confronti di tale politica in Italia, e delle connesse operazioni di sgombero (Commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa nel 2009 e 2011, Associazione 21 luglio nel 2010, Osservatorio Internazionale per i diritti umani nel 2011), promuovendo il sostegno all'inserimento abitativo. In questo senso, alcune sperimentazioni alternative al campo sono state fatte, a livello locale. Esempi di politiche abitative, rivolte a rom e sinti poveri, sono a Venezia, Padova e Bologna, dimostrando quanto la dignità di un alloggio sia prerequisito necessario all'integrazione.
Nelle grandi città italiane, il modello del campo (sorto negli anni '60 in risposta a un'emergenza e poi diffusosi ampiamente negli anni '80) è ancora oggi prevalente, anche perché permangono pregiudizi e stereotipi nei confronti di rom e sinti, indistintamente, come il nomadismo e l'inconciliabilità culturale. In realtà, oggi è stanziale l'80% dei rom e dei sinti europei, in Italia gran parte di loro sono residenti da più di un secolo e almeno 80 mila hanno cittadinanza italiana. Circa 12 milioni sono stimati i rom europei, di cui 140 mila nel nostro Paese. Tra loro, successi professionali ed economici, occultando però la propria origine per paura di discriminazioni, ma anche gruppi molto poveri e altri, provenienti dalla ex Jugoslavia, dalla Bulgaria e dalla Romania, fuggiti dalle guerre. Tutti sono per noi "zingari", sebbene rom e sinti siano gruppi molto differenti e con una storia europea che dura da almeno 6 secoli. In particolare, Rom è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanes/romani, originaria dell'India del Nord. Elementi costanti nella loro storia sono la persecuzione, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio.
Al loro primo apparire in Europa, il nomadismo è stato considerato come una maledizione di Dio, la pratica di certi mestieri (come forgiatori di metalli) ricondotta per superstizione alla magia e le arti divinatorie alla stregoneria.
Perciò, tendenzialmente, le società moderne hanno cercato di liberarsene, anche con l'eliminazione fisica e tutti i Paesi europei hanno adottato bandi di espulsione, fino a giungere agli estremi del genocidio dei rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania.
In Italia, gli ultimi trent'anni di pratiche assistenziali e servizi esclusivi, sebbene tramite operatori motivati e competenti, hanno determinato un ampliamento della distanza fra rom e resto della società.
Si potrebbe, invece, prendere spunto da alcuni Paesi europei dove la questione rom è stata affrontata sulla base di un principio di garanzia dell'uguaglianza. In Spagna, ad esempio, i gitani meno abbienti vivono in case popolari come ogni altro cittadino svantaggiato. In Germania, una legge riconosce i rom come "minoranza nazionale", a differenza dell'Italia che con la legge 482 del 1999, escluse i rom e i sinti dalle 12 minoranze linguistiche riconosciute, e quindi dalle tutele che ne derivavano.
Dopo il censimento del 2008, effettuato in Italia negli insediamenti di nomadi, il Governo Maroni ha dichiarato lo stato di emergenza nelle Regioni di Campania, Lombardia e Lazio (prorogato poi fino al 2011) ed esteso successivamente al Veneto ed al Piemonte. I Prefetti di Roma, Milano e Napoli sono stati nominati commissari delegati per la realizzazione degli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza nei propri territori regionali, sono assistiti dalla forza pubblica e possono collaborare con altri soggetti pubblici e, per i profili umanitari e assistenziali, con la Croce Rossa Italiana. Le linee guida per l'attuazione, emanate dal Ministro Maroni, ribadivano che il fine delle ordinanze era di rimuovere le situazioni di degrado esistenti nei campi e promuovere condizioni di vivibilità nella legalità per le comunità nomadi, consentendo l'accesso ai servizi di carattere sociale, assistenziale, sanitario e scolastico, soprattutto per i minori, maggiormente esposti a rischi di abuso e di sfruttamento. I principi fondamentali e le modalità da seguire nell'identificazione di chi risiede nei campi nomadi tengono conto delle indicazioni e delle raccomandazioni formulate dal Garante per la protezione dei dati personali. "Il Governo, dichiarava Maroni, "vuole la tutela di chi vive in queste situazioni di degrado, la tutela dei minori, per toglierli dalla clandestinità, per toglierli dall'ombra, per dare loro un futuro".
A seguito della dichiarazione di stato di emergenza, sono state stanziate risorse straordinarie per Roma, Napoli e Milano, con la maggiore presenza di rom, che sono state gestite in modo straordinario per identificare le popolazioni rom, sgomberare i campi abusivi, monitorare quelli autorizzati e costruirne nuovi, promuovendo interventi di inserimento sociale all'interno di questi ultimi.
Finalmente, l'anno scorso, è stata adottata per la prima volta, una strategia nazionale che sottolinea il carattere discriminatorio ed escludente dei campi nomadi e si pone l'obiettivo del loro superamento. Nonostante tale novità e la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità dello stato di emergenza avviato nel 2008, le politiche continuano ad affrontare la questione con una logica emergenziale e di sicurezza.

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